Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

sabato 11 novembre 2017

Raccontami tu


Donne che fuggono nella notte o alle prime luci dell'alba, in Raccontami tu, di Maristella Lippolis.  Non hanno un piano preciso per sottrarsi alla violenza o allo sfruttamento, piuttosto un sogno di libertà che si è annidato nella mente e ha nutrito le loro azioni di gesti apparentemente sicuri, ma chi può stare tranquillo? Non loro, guidate solo da un istinto protettivo verso le creature disarmate che trascinano nella loro impresa. 
Una scappa per mettere centinaia di chilometri di distanza da un uomo che l'ha segnata nel corpo e nello spirito, scappa con la sua bimba, un fagottino addormentato sul sedile accanto a lei, guida concentrata, lottando con il sonno, sull'autostrada come un nastro d'asfalto, senza osare superare la fila interminabile dei camion, dalla Liguria a Pescara, deve farcela, non può fermarsi. 
Un'altra deve decidere in fretta, in una città che non conosce neppure, fuori da quell'appartamento in cui è prigioniera, cambiare aspetto per far perdere le sue tracce, svegliare e convincere alla fuga quell'inerme adolescente, prima che sia troppo tardi, prima che le facciano altro male. «Il lungo addestramento a guardarsi agire dal di fuori, come se quella non fosse lei ma un'altra di cui osservava la vita con indifferenza, l'ha protetta quando era esposta per strada, e adesso le impedisce di pensare con angoscia alla propria situazione. È arrivata fin qui, se la caverà, finora se l'è sempre cavata».  Sorretta da una fiducia impensabile, mette in sicurezza la ragazzina e si affida all'unica persona, fuori dall'organizzazione che, forse, potrebbe aiutarla.
Donne in difficoltà che si incontrano perché i loro percorsi sono stranamente intrecciati, ma soprattutto perché sono solidali, fiutano e riconoscono la paura dell'altra e si aiutano. Colgono quella  luce negli occhi che fa cadere le difese, fa svelare da dove vengono, che cosa rincorrono, mette a nudo la solitudine a cui il dialogo con un'altra donna giunge come una medicina, una pozione che scalda il corpo e fa intravedere una qualche soluzione. «È abituata ad ascoltare le storie degli altri, e non sono mai facili, ma questa l'ha colpita in maniera diversa [...]Di solito le storie che ascolta la sfiorano, le entrano in testa e poi si allontanano, finiscono nell'archivio delle vite che aspettano una soluzione e quasi mai è compito suo trovarne una. Ma questa, questa sta trovando velocemente una saldatura dentro di lei, e Valentina sente che diventerà uno dei suoi pensieri quotidiani». Sono donne che non esitano a violare tutte le regole, a mettersi in contrasto con i colleghi, con i compagni, a rovinare vacanze per inseguire un'idea che potrebbe rivelarsi salvifica.
Donne che scrivono lettere, ma solo nella loro mente, «ti sto scrivendo questa lettera nella mia testa perché ho bisogno di parlare con qualcuno anche solo per finta, altrimenti non riesco a capire se questa vita mi sta davvero accadendo». Scrivono perché non possono fare altrimenti, ma troppo difficile raccontare quello che succede, il lavoro umiliante, l'isolamento, meglio far credere una pietosa bugia di raggiunto benessere. «Cara sorella, ecco qui un'altra lettera che ti scrivo solo nella mia mente, come le altre. Ma questa volta non mi serve per fare finta di parlare con qualcuno e mettere tutti i miei pensieri in fila, ma per prepararmi a parlarti davvero.[...] Chissà se è questa, alla fine, la libertà, questo camminare da sola senza preoccuparsi che qualcuno ti riconosca».
Donne generose che condividono casa, abiti  e progetti di vita, individuano risorse tra i problemi delle altre, se ne fanno carico per un'esistenza con un ordine nuovo, rispondente a desideri archiviati, in bilico tra novità e tradizione, natura e affetti. "Naturalmente a casa di Alice", si chiamerà il "posto", «mancava il nome, e quindi un'identità» e «i nomi devono corrispondere alle cose», e questa è proprio "casa" di Alice, un luogo che le somiglia, pensato per poter leggere e riflettere insieme sul cibo, sulla vita,  arredato in modo gioioso, completo di belle tazze per sorseggiare tè e tisane.
Sono tante le donne in dialogo costante, reale o immaginario, con ruoli, età e condizione diverse che Maristella Lippolis fa sfilare, vibrare e parlare nel suo libro, il cui esergo è tratto da La mia Africa di Karen Blixen «Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?*», che Adriana Cavarero, in un suo saggio, riscrive così «il percorso di ogni vita si lascia alla fine guardare come un disegno che ha senso?[...]C'è un'etica del dono nel piacere del narratore. Chi narra non solo intrattiene e incanta, come Sheherazade, ma regala ai protagonisti delle sue storie la loro cicogna». Il racconto di Caterina, Valentina, Marta, Dina, Alice, Bianca, Alma, Maria diventa trama, intreccio, relazione, un invito alla sorellanza, o un dolce ma determinato manifesto programmatico: insieme possiamo farcela, possiamo passare dal desiderio al disegno.

Raccontami tu, Maristella Lippolis, L'Iguana Editrice, 2017.



Raccontami tu, Maristella Lippolis, L'Iguana Editrice, 2017.
Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Adriana Cavarero, Feltrinelli, 1997.
*Le grafie della cicogna. La scrittura delle donne come ri-velazione è stato un convegno del 2010 promosso dal Forum d'Ateneo per le politiche e gli studi di genere dell'Università di Padova, coordinato da Saveria Chemotti, Adriana Cavarero vi tenne la lectio magistralis proprio su Il desiderio di racconto.

pubblicato su 
Leggere Donna n°178/2018

sabato 4 novembre 2017

E Oltre





Il regalo di un amico, un bozzetto scelto dalla sua collezione, raffigurante una donna  «seduta con le mani incrociate sul grembo, alla Cézanne» fa compagnia a Patrizia Castagnoli per anni e infine scatena la sua fantasia sulla mano che l’ha tratteggiato. Così comincia la sua lunga ricerca sulla vita e le opere di Ernesta Oltremonti e, da subito, emerge la presenza della pittrice a quattro Biennali veneziane, tra il 1924 e il 1930 e poi a tre Quadriennali romane, dal 1931 al 1939. Nata  a Venezia nel 1901 e morta a Roma nel 1982 in circostanze che attirarono l’attenzione della cronaca, secondo cui avrebbe aiutato la sorella a morire, l’autrice trova innumerevoli difficoltà nel ricostruire l’educazione e formazione della pittrice. Inizia  ripercorrendo i luoghi in cui abitò,  Venezia, Firenze, Roma e Parigi. Dai suoi vagabondaggi novecenteschi a Parigi, nel clima artistico degli anni Venti , proviene una fotografia legata a un articolo dove si parla di lei, datato 14 gennaio 1930, dal titolo Tra gli stranieri a Parigi e come sottotitolo M.lle E. Oltremonti artista pittrice. In esso  è sottolineata la capacità costruttiva delle sue opere, l’eleganza del disegno e i colori dei paesaggi, «un tratto vigoroso poco comune in una donna, ha una visione chiara e sincera. Un disegno solido fissa le masse architettoniche e la poesia canta la gioia di dipingere di questa artista italiana». Una traccia importante pare essere il suo rapporto con il pittore Emilio Notte, del cui legame Castagnoli dice «sia stato per la pittrice la storia di un connubio artistico e probabilmente, dopo l’arte, la passione più travolgente».
 A ritroso nel tempo, per inseguire rari segni, o potremmo dire, sfumature, della pittrice, il percorso di Castagnoli si  inceppa e progredisce tra mille dubbi e congetture.  Ernesta si trasferì da Venezia per sottrarsi alle malelingue perché la città non le aveva mai perdonato la relazione con Emilio Notte, suo maestro e uomo sposato? Fu questo il motivo per cui venne osteggiata nell’ambiente artistico? Abitò a Parigi in rue de la Grande Chaumière 15, dove si trovava anche Gauguin, al numero 8, e Modigliani vi aveva il suo atelier, nella stessa strada esisteva già dal 1902 l’Académie de la Frande Chaumière, frequentata da molte artiste straniere, tra cui Tamara de Lempicka. Come mai Ernesta abitava proprio in quella via, era forse allieva o insegnante dell’accademia? E la casa di via Verdi 100, a Roma, fu scelta per la somiglianza con quella veneziana di Calle Vitturi, dove nacque? E ancora, quanto le apparteneva il titolo nobiliare di contessina con cui talvolta viene indicata? Il racconto della nostra autrice è una sorta di cronaca diaristica, tra lettere, indirizzi di vecchie case dove gli occupanti non ricordano chi li abbia preceduti e poi testimonianze degli allievi e delle allieve.  A un certo punto, infatti, Ernesta Oltremonti sembra rinunciare alla pittura, attorno agli anni Quaranta, e dedicarsi esclusivamente all’insegnamento e non sono chiari i motivi per cui compì  tale scelta anche se pare verosimile la necessità di provvedere al sostentamento della famiglia.
Castagnoli scrive decine di mail e lettere, si reca personalmente nei luoghi visitati dalla pittrice, non si rassegna né scoraggia davanti alle dimenticanze delle persone interpellate e accenna, senza sollevare troppi dubbi, alle ultime persone che l’accudirono e poi entrarono in possesso dei suoi averi. La sua sembra essere una condivisione empatica, con l’ipotetico lettore o lettrice, della vita segnata dall’arte, dal talento e dal desiderio di smarcarsi da un destino femminile prefissato, quale fu quella della pittrice. Ci spiega che le opere di Ernesta Oltremonti «appaiono immediatamente comprensibili, ma un attimo dopo ti accorgi che non c’è nulla di scontato, esiste una regia nel disegno compositivo che crea l’intima armonia di un’immagine mentale». E per la sua Adamo ed Eva «Di buffo non c’è proprio niente nel dipinto, anzi direi che l’artificio del manichino trasformato in forme umane è perturbante nella sua epidermica metamorfosi». Una pittrice in cui si avverte la lezione di Cézanne e la «luminosità lagunare» e si colgono «equilibri formativi di piani molto calcolati, proporzioni che cercano l’armonia nell’essenza degli oggetti».
E. Oltre, il titolo del libro di Catagnoli, è anche la firma di Ernesta Oltremonti, come appare in molte sue opere e come si ritrova anche nei registri della scuola romana dove insegnò. Forse una cifra della sua vita, una misura oltre le convenzioni, oltre i condizionamenti culturali e artistici, per restare «fedele solo a se stessa, alla sua dignità».



E Oltre. Sulle tracce di Ernesta Oltremonti, Patrizia Castagnoli, Luciana Tufani Editrice, 2016.


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