Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

lunedì 27 febbraio 2017

Gigliola Alvisi, intervista

(come annunciato nel post precedente, ecco l'intervista a Gigliola Alvisi)

Troppo piccola per dire sì tratta un tema d'attualità piuttosto difficile da proporre all'attenzione delle e degli adolescenti, com'è nata l'idea di questo libro?
L'anno scorso ho riportato sul mio profilo fb la storia di una bambina di otto anni morta di emorragia interna durante la prima notte di nozze. Daniela Valente, titolare di Coccolebooks, mi ha subito contattato per chiedermi se volevo scrivere per lei una storia su questo argomento. Ho accettato, chiedendomi però come avrei potuto "disegnare" una storia così forte per un pubblico di adolescenti: la violenza alle spose-bambine passa inevitabilmente attraverso lo stupro compiuto da un adulto. Per questo motivo ho deciso che, nella storia, la violenza fosse raccontata dalla madre, anche lei sposa bambina, e non vissuta direttamente dalla protagonista.
Il romanzo pone l'accento sull'integrazione e l'identità delle persone migranti, sui diversi stili di vita e su una certa nostalgia del paese d'origine, è corretto?
Esatto, ma volevo emergesse anche la distanza che si crea tra chi vive all'estero e la realtà del Paese che ha lasciato. Spesso il Paese che queste persone portano nel cuore cambia senza che loro lo sappiano e magari, quando e se tornano, si ritrovano stranieri come lo erano nello Stato che li aveva ospitati.
Il linguaggio usato è fresco e prossimo al gergo adolescenziale, ma non banalmente povero e semplice. Si è reso necessario un qualche filtro per renderlo vicino all'esperienza delle ragazze e dei ragazzi di oggi?
Le parole dei ragazzi mi risuonano dentro in modo naturale, credo dipenda dal fatto che i giovani (amici dei miei figli, gli studenti e le studentesse che incontro nelle scuole, che ascolto in autobus...) mi piacciono e mi divertono. In ogni caso, mia figlia è la mia prima severissima lettrice e capita che dica: "Questa cosa una ragazzina di tredici anni non la direbbe mai!".
Nel romanzo c'è un particolare accorgimento che ne determina il finale. Senza svelare i dettagli, ci vuole raccontare come l'ha scoperto?
Me l'hanno suggerito le due mediatrici culturali marocchine con le quali ho chiacchierato molto prima di cominciare a scrivere questa storia.
Lei scrive per bambini e bambine, ragazze e ragazzi e ha scritto per quella fascia di lettori che viene identificata come "giovani adulti". Come mai ha scelto questi destinatari della sua opera? Ha mai pensato di scrivere anche un romanzo per adulti?
All'inizio credo che dipendesse dalla vicinanza all'età dei miei figli. Adesso loro sono adulti e quidi, in teoria, dovrei scrivere per adulti. Immagino che, prima o poi, mi cimenterò in questo nuovo ambito. Ma al momento sono inesorabilmente e perdutamente innamorata dei lettori bambini e ragazzi.

Gigliola Alvisi vive e scrive a Padova, ha già pubblicato molti libri per ragazzi. Tradotto in francese, serbo e polacco il suo Non sono una bambola! (EL, 2010) con cui ha vinto il prestigioso Premio Selezione Bancarellino 2011. Su questo blog (ottobre 2016) è stata pubblicata una recensione di Piccolissimo Me (Piemme, 2014) che le è valso il Premio Battello a Vapore 2015.
Con Giacomo Matteotti. Una morte annunciata (in edibus, 2014) ha vinto la XII edizione del Premio Matteotti istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.


giovedì 23 febbraio 2017

Troppo piccola per dire sì

Maisa aveva solo tre anni quando è partita dal Marocco e non ricorda nulla della terra dov'è nata. Il suo mondo è qui: la scuola, le amiche, la pallavolo, in cui eccelle, e la famiglia, luogo che comincia a starle sempre più stretto. Perché a tredici anni si fanno confronti e ci si interroga su divieti e permessi e Maisa «è l'unica ragazza di Vicenza a non avere un cellulare», non può neppure andare a casa delle amiche, o invitarle nella sua camera per fare i compiti insieme, deve sempre essere accompagnata a e da scuola. A casa sua si indossano gli abiti tradizionali marocchini e il padre esercita un'autorità assoluta, temuto dalla moglie e dai figli.
Ma qualcosa si sgretola nel sistema perfetto di adesione alle regole familiari perché le idee "altre" si insinuano, provocano dubbi, aprono tavoli di discussione fuori dalle mura domestiche. È tutto un chiacchiericcio tra adolescenti, denso di interrogativi che esigono risposte convincenti e si nutrono di un crescente bisogno di libertà. Maisa si è costruita un particolare modo di stare in famiglia e a scuola, ma il suo fragile equilibrio vacilla appena scopre che la madre è stata una sposa bambina e, come accade spesso nell'adolescenza, quando mancano i riferimenti per contestualizzare adeguatamente i problemi, si ribella all'idea, odiando la madre.
L'autrice, Gigliola Alvisi, tratteggia con delicatezza il rapporto madre-figlia, con tutte le incomprensioni e il grande regalo dell'affetto salvifico. Troppo piccola per dire sì risulta quindi un libro fecondo di spunti per avvicinare il pubblico di giovani lettrici e lettori a un problema che fatica a guadagnarsi la ribalta della cronaca, per i risvolti scomodi che sottende. Invece, la freschezza del racconto, mosso dal gergo giovanilistico e con i tempi e le priorità adolescenziali, riesce ad aprire una finestra di approfondimento sui matrimoni precoci, quel grande spreco di vita, quell'autentica violenza, ai danni delle bambine.

(segue intervista all'autrice)


Troppo piccola per dire sì, Gigliola Alvisi, Coccolebooks, 2016.

martedì 21 febbraio 2017

Una pila di libri

dimenticati, più o meno, su tavolini, scaffali, scrivanie, comodini. Sovrapposti dal tempo, tenuti insieme solo dal caso perché regalati, prestati o acquistati in omaggio all'autore o all'autrice che si conosce e apprezza, oppure grazie a copertine ammiccanti. Spostati in blocco, spolverati quando occorre, taluni non completamente letti, magari poco amati ma conservati, in attesa di un picco di curiosità. A chi vive di libri e con i libri può succedere di imbattersi in una tale "pila" e, talvolta, smembrarla riserva piacevoli sorprese.
...

Un titolo che non potrebbe essere più evocativo e una copertina che cita Klimt, Ti ho cercata in ogni stanza è il secondo romanzo di Saveria Chemotti. Meno intimista e sofferto del precedente, La passione di una figlia ingrata, racconta dell'amicizia nata fra due donne molto diverse tra loro, quanto a carattere e provenienza sociale, nel momento della vita in cui si fanno le prove di indipendenza dalla famiglia e nel periodo storico che precede le lotte femministe. L'amicizia è il collante pratico e affettivo che sopravvive negli anni, tenendole legate, ma senza diventare salvifico. Il paragone a Clara Sereni e al suo Via Ripetta 155, può reggere per il contesto di cambiamenti sullo sfondo e promessi in futuro, ma la narrazione, in quest'ultimo, coinvolge un coro di persone note o rintracciabili. Nel romanzo di Chemotti prevale invece la formazione individuale, l'osservazione stupita del diverso da sé, nel senso delle opportunità conosciute e permesse. Se un'amicizia giovanile, magari in collegio, fa ancora indugiare in un sorriso affettuoso, questo libro può aggiungere fascino alla memoria. Persino il tatto viene coccolato dalle pagine lisce di buona carta e la cura editoriale si rivela fin dalla copertina, di cui si è detto.

Con un diverso sguardo porta a notare gli artisti di strada L'allegria degli
angoli, perché dietro quei loro strumenti o strani costumi si celano vite precarie, scelte obbligate e, necessariamente, una grande capacità di adattamento. Tutto risolto con l'ironia che distingue Marco Presta, apprezzato conduttore e autore radiofonico non alla sua prima prova di scrittura, risolta, anche in questo testo, con la leggerezza un po' amara che gli è propria. Lorenzo è un geometra senza lavoro, o "inattivo", come preferisce definirli il suo amico, nella stessa situazione, e senza un amore. Una situazione che "può solo migliorare" perché "Ci sono dei momenti nella vita in cui si è persino lieti di sprofondare nel baratro di un oroscopo sentito alla radio".

Una personaggia in antitesi con i tempi e di una bellezza che non si scorda, Maria di Caffè amaro. La sua storia si accompagna a quella del Paese e della Sicilia in un primo Novecento raccontato con soffuso affetto da Simonetta Agnello Hornby che riesce, anche in questo romanzo, come già in La mennulara o La monaca, a tratteggiare un profilo femminile forte e dolce insieme. Il caffè amaro, che l'invidiosa cognata riserva a Maria, è metafora del conto che le presenta la vita, per tutta la bellezza, l'intelligenza e gli agi che le appartengono.






Ti ho cercata in ogni stanza, Saveria Chemotti, L'Iguana Editrice, 2016.
Via Ripetta 155, Clara Sereni, Giunti, 2015.
L'allegria degli angoli, Marco Presta, Einaudi, 2014.
Caffè amaro, Simonetta Agnello Hornby, Feltrinelli, 2016.



venerdì 17 febbraio 2017

Felice Pozzo, intervista

Come anticipato nel post precedente, ecco l'intervista a Felice Pozzo.

Il nome di Salgari è più o meno noto a tutti, come i titoli dei suoi romanzi, ma rimane un interrogativo che amareggia: come mai, pur essendo letto e amato da tanti, fu ignorato dai critici letterari del suo tempo e poi cadde nel dimenticatoio?
Salgari era privo di titoli di studio, aveva esordito ventenne con romanzi d'appendice piuttosto discutibili e poi aveva man mano creato il genere avventuroso in Italia. La sua produzione era ondivaga. In presenza di precisi accordi editoriali scriveva libri per la gioventù, altrimenti il suo mondo letterario si collocava, genericamente, nell'ambito della letteratura popolare, ovviamente con avventure avvincenti. Erano testi che, per gli educatori, soprattutto religiosi, sfuggivano a catalogazioni, esondavano dai canoni tradizionali, sembravano mettere a repentaglio il motto "Dio, Patria, Famiglia". Non c'erano forse storie appassionate, amori tra uomini e donne di etnie e religioni diverse? C'era un vago erotismo che si affratellava con un forte esotismo e mancava del tutto l'intervento della divina provvidenza. Ai critici letterari dispiaceva la sua prosa non ricercata, incalzante, a volte scorretta. Ai puristi appariva insopportabile l'uso reiterato di terminologia esotica. Nessuno si accorgeva che si trattava, in realtà, di elementi che creavano un clima avventuroso inedito, e perciò destinato a un enorme e trasversale successo popolare. Tale da esaltare gli animi... e anche questa circostanza non gli era perdonata. Non parlerei di dimenticatoio. Dopo la sua morte, a grande richiesta, il suo genere ha avuto infinite imitazioni, ha creato un mercato preciso e con le ombre lunghe, per così dire. E' diventato un fenomeno di costume presente molto a lungo.
Quali furono i suoi riferimenti letterari, da quali autori o autrici fu influenzata la sua scrittura?
Poiché non ha creato un genere dal nulla, è stato piuttosto agevole individuare i suoi maestri, d'altronde citati. Tralasciando le sue consultazioni, che riguardano un'oceanica letteratura di viaggi ed esplorazioni, suoi principali maestri sono i francesi: Jules Verne, Alexandre Dumas, Gustave Aimard, Louis Boussenard. Ma anche molti autori americani o inglesi, già noti in Italia ai suoi tempi, hanno avuto un ruolo rilevante: Edgar Allan Poe, James Fenimore Cooper, Daniel Defoe. E non va dimenticato Shakespeare, presente nella sua opera più di quanto si immagini.
In una conferenza, a Padova, nella sede del GRIBS (Gruppo di Ricerca sulle Biblioteche Scolastiche), l'ho sentita enunciare la teoria dell'identificazione risorgimentale dei personaggi salgariani, può spiegare di che cosa si tratta?
La teoria, se si volesse rintracciare una fonte, per quanto fosse già da tempo abbozzata, compare in un libro di Omar Calabrese, Garibaldi tra Ivanhoe e Sandokan (Electa, 1982). Nel testo sono evidenziate tutte le coincidenze narrative, descrittive e persino figurative che consentono di accostare Garibaldi a Sandokan e di andare oltre negli accostamenti. Aggiungiamo il tema della lotta contro gli invasori, il clima eroico e patriottico. Non si tratta dunque del trasporto convinto e consapevole di un'epopea storica in un'epopea fantastica, ma di una similitudine che si nutre di innumerevoli suggestioni. D'altronde non mancano altre "prove": l'incontro tra Sandokan e Yanez, ad esempio, arriva dritto da Le memorie di Garibaldi, di Alexandre Dumas (Mémoires de Garibaldi, Mursia, 2002).
Lei ha scritto in Tra Sandokan e Salgari. Yanez de Gomera il bohémien dei mari malesi del personaggio di Yanez come alter ego di Salgari. Quali elementi e circostanze lo fanno ragionevolmente supporre?
Lo studio delle carte salgariane note consente di stabilire che, sin da ragazzo, Salgari abbozzò tentativi di scrittura in cui l'io narrante diventava prigioniero e poi compagno di Sandokan. Si è visto che quell'alter ego di fantasia è poi diventato Yanez. Il personaggio, presente nell'opera di Salgari sino alla sua morte, assume man mano connotazioni autobiografiche, per così dire, dal tabagismo allo spirito bohémien caratteristico dell'autore e, via via, con vicende che trovano riscontro, tra le righe, nella biografia salgariana. Non bisogna poi dimenticare la testimonianza della moglie dello scrittore, Ida Peruzzi: "Yanez è mio marito".
Stabilito che Salgari abbia una sua specificità letteraria e meriti una considerazione maggiore, ritiene che la sua opera sia ancora leggibile ai giorni nostri? E, nel caso, quale suo romanzo sarebbe imperdibile?
Oggi Salgari, soprattutto presso i giovani, non può più sostenere il ruolo conquistato ai suoi tempi. Non porta più nelle case un globo terracqueo inesplorato, immenso. Il romanticismo, il melodramma, le suggestioni degli amori tra uomini e donne di etnie diverse e molte altre tematiche che un tempo colmavano istanze nascoste, curiosità irrisolte, sentimenti popolari e altro ancora, non hanno più carisma. Restano veicolati, per menzionarne alcuni,  i messaggi relativi all'onore, alla lealtà, al senso di giustizia e di libertà. Questi dovrebbero non morire mai. E resta quel senso dell'avventura che ancora riesce a toccare alte vette, così che serve da ispirazione ad autori nuovi e ottiene continue riscoperte all'estero, ben oltre i confini europei, spesso con iniziative culturali di grande rilievo. Tra i suoi capolavori non andrebbero "persi" Il Corsaro Nero, I Pirati della Malesia e I Misteri della Jungla Nera. 

Felice Pozzo conduce da anni studi sull'opera e la vita di Emilio Salgari, è stato relatore in importanti convegni sul tema e ha pubblicato diversi libri sull'argomento, qui una selezione di titoli:
Emilio Salgari e dintorni, Felice Pozzo, Liguori, 2000.
Il fachiro di Atlantide. Percorsi dell'immaginario tra avventure e misteri, Felice Pozzo, Edizioni Il Foglio, 2013.
Il Corsaro Nero. Nel mondo di Emilio Salgari, Felice Pozzo, Pino Boero, Walter Fochesato, FrancoAngeli, 2011.
Tra Sandokan e Salgari. Yanez de Gomera il bohémien dei mari malesi, Felice Pozzo, Bibliografia e Informazione, 2016.


giovedì 16 febbraio 2017

Adventure

Volendo (e potendo) si parte all'avventura, ma è anche possibile viverla in modo virtuale con i prodotti tecnologici disponibili.
Ebbene, anche senza computer e videogiochi l'avventura poteva essere virtualmente disponibile. A renderla tale, coinvolgente e appassionante, ci pensava Salgari, che scrisse dalla seconda metà dell'Ottocento, fino al primo decennio del Novecento, qualcosa come un'ottantina di romanzi, polarizzando la fantasia di svariate generazioni di lettori e lettrici.
Carlo Emilio Salgari (Verona, 1862 - Torino, 1911) non aveva mai viaggiato né vissuto esperienze avventurose, ma nutriva le sue storie di accurate ricerche in biblioteca rendendo perfettamente verosimili i suoi racconti. Scriveva compulsivamente, per la necessità di mantenere la sua famiglia e quanti approfittarono della sua ingenua generosità, che lo obbligò vivere in una situazione di perenne indigenza.
Un bohémien che finì i suoi giorni tragicamente, ignorato dalla critica ufficiale ma, forse, segretamente letto e amato da tutti.
A parlarne, Felice Pozzo, lo studioso italiano che ha molto contribuito a riposizionare la figura dello scrittore nella letteratura italiana.
(segue intervista)