Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

giovedì 30 giugno 2016

Polveri di luna

Ma sarà vero che esistono letture più estive di altre? Ogni anno, all'affacciarsi del caldo, riviste e siti di vario tipo ripropongono l'interrogativo a cui seguono i dieci libri da leggere assolutamente. 
Niente di tutto ciò, da queste parti. Il filone di lettura proposto da Lauradeilibri tocca le corde più varie ed è come il blu: si adatta a tutte le situazioni. Ecco quindi Polveri di luna, da leggersi dove e quando vi pare, it's up to you.
La protagonista è una medica, in un tempo in cui le donne accedevano con difficoltà a tale professione ed erano viste con diffidenza nell'esercitarla. Siamo in pieno fascismo e il libro propone un'accurata ricostruzione storica che mette in luce anche la positività delle azioni politiche rivolte al sociale. La dottoressa Clelia Lollini è figlia di una femminista e di un socialista, tuttavia si convince che il fascismo, dopo la prima fase, abbia abbandonato i toni cruenti e sappia essere propositivo nella risoluzione dei problemi. Tra le iniziative lodevoli del regime si annovera la creazione dei Consorzi Antitubercolari, in tutto il Paese e, a dirigere quello di Massa, viene chiamata, per concorso, proprio Clelia che, al tempo, ha già contribuito a fondare l'AIDM (Associazione Italiana Donne Medico), in seguito sciolta come tutte le altre libere associazioni. Massa è in piena espansione edilizia, collegata a Roma, Firenze e al Nord d'Italia, è anche terra in cui i fermenti anarchici e socialisti sono stati sedati dalle spedizioni punitive ma, attorno al 1930,   il regime vuole ottenere il consenso promuovendo mastodontici lavori pubblici che diminuiscano la disoccupazione. Un lavoro di responsabilità attende Clelia, sotto gli occhi critici di tutti ma lei, seria, preparata e motivata non è tipo da spaventarsi. Si installa nella sua nuova casa, comincia a esplorare il luogo e a conoscerne le personalità di spicco, tra cui l'avvocato Aldo Manconi e il Podestà, di nomina governativa. Tra Clelia e Aldo nasce e cresce un legame affettivo oltre le convenzioni, anche sfidandole, intrecciato alle emozioni quotidiane, alle preoccupazioni lavorative e familiari e all'impegno sociale.
Clelia "non si scoraggiava; le piaceva affiancare alla normale attività delle iniziative diverse, rivolte ai giovani e alle donne in particolare e cercava comunque di portare avanti lavori che non richiedessero fondi aggiuntivi" (pag.189).
Puntuali sono le descrizioni degli ambienti lavorativi e delle procedure di estrazione del marmo.
"Un pulviscolo fine e impalpabile si levava dal taglio man mano che si approfondiva e Clelia l'osservò con apprensione". 
E' di marmo la polvere di luna del titolo, responsabile della temibile silicosi, patologia molto diffusa tra gli operai.
"I cavatori lavoravano a mani nude davanti a un mostro di parecchie tonnellate pericolosamente inclinato. Il capolizza, dritto proprio di fronte alla carica, dava gli ordini a voce alta e gli uomini eseguivano in silenzio con la massima celerità. I mollatori erano sdraiati vicino ai piri, con i piedi puntati contro il terreno sassoso, la schiena gettata all'indietro e le mani serrate ai canapi che allentavano e stringevano alternativamente. Erano uomini giovani, scelti evidentemente tra i più robusti, ma lo sforzo e la tensione gli stravolgevano il volto in una maschera dolorosa" (pag.50).
Emerge, nel racconto sul gruppo di Giustizia e Libertà a Parigi, il ruolo dell'infiltrato Dino Segre, scrittore conosciuto con lo pseudonimo Pitigrilli, agente dell'OVRA (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell'Antifascismo), che spiava i compagni fingendosi loro amico, mentre redigeva rapporti con "la vivezza di un testo letterario, ma la meschinità di una denuncia" (pag.127).
L'autrice, Silvia Mori, è pronipote di Clelia e racconta, con la nitidezza della storica e l'empatia che si riserva agli affetti più cari, cent'anni d'Italia, in una trilogia iniziata con Contra' di mezzo (2010), seguita da La dama del quintetto (2012) e conclusa con questo Polveri di luna (2014). Una lettura incalzante e, per molti aspetti, sorprendente.

Polveri di luna, Silvia Mori, Luciana Tufani Editrice 2014.

mercoledì 22 giugno 2016

Il giudice delle donne


Dalla realtà al romanzo, senza dimenticare i fatti e sottolineando la matassa dei diritti e dei sentimenti in gioco. Sembra essere l'operazione letteraria compiuta da Maria Rosa Cutrufelli nel suo Il giudice delle donne che prende lo spunto dall'azione intrapresa da un gruppo di maestre marchigiane, nel 1906, per ottenere l'iscrizione alle liste elettorali. Un'operazione osteggiata da mariti, famiglia e tessuto sociale al completo perché in odor di ribellione dallo status quo che voleva le donne sottomesse e senza voce alcuna.
Un romanzo che sa di buono e cade, a proposito, al compleanno di una repubblica settantenne, la nostra, ancora gravata da alcune lacune per il riconoscimento pieno delle pari opportunità alle donne. Il libro di Cutrufelli ci riporta al primo Novecento e ci costringe a ripercorrere la storia di un diritto per il cui raggiungimento si sono adoperate molte donne. Come Alessandra, la protagonista del romanzo, una "maestrina", secondo la vulgata del tempo, orgogliosa dei suoi studi alla Normale, che si avventura a insegnare nella scuola elementare di Montemarciano e va a vivere nella casa di «un vecchio avvolto fino ai piedi in una zimarra da stagnaro» e della sua nipote undicenne, Teresa «carina se non avesse avuto certi capelli arruffati, da selvaggia». Immediata scatta la simpatia per quella bambina trascurata, orfana, impegnata in lavori troppo pesanti per la sua età.
Per Alessandra è tutto nuovo e non semplice: vivere lontano dalla sua casa, in un piccolo paese, sostenere la sua motivazione all'indipendenza economica e trovare una misura per rapportarsi correttamente con le colleghe e il direttore didattico. Non a caso, le ultime parole di sua madre, nell'accompagnarla, suonano minacciose: «Non esporti, per carità! Dammi retta: una donna che lavora, tanto più se maestra, è sempre sotto esame».
Narrati in prima persona, si susseguono i capitoli con la voce di Teresa, Alessandra e Adelmo, il fratello di "un'amica di famiglia". Punti di vista diversi concorrono a formare un quadro con  personagge e personaggi tutt'altro che secondari, come Luigia, anche lei maestra e moglie del sindaco, che visita i paesi vicini per raccogliere il consenso di altre maestre a iscriversi alla lista elettorale. Alessandra, perché troppo giovane, non può partecipare con la sua firma, ma si attiva in ogni modo, partecipa alle riunioni, argomenta, si entusiasma. Contrariamente alle previsioni di tutti, il giudice della Corte d'Appello di Ancona, Lodovico Mortara, approva infine la loro richiesta. Il giudice delle donne.
Tuttavia il romanzo va oltre e intorno a questa vicenda, disegnando anche la vita grama dei poveri più poveri, dei bambini straccioni, delle scuole fatiscenti che crollano sotto il peso della pioggia.
Maria Rosa Cutrufelli, già nota per aver scritto saggistica e narrativa, in questa sua opera coglie i particolari del quotidiano e del personale, dell'infanzia e dell'affacciarsi all'età adulta con tante illusioni pronte a sbattere contro il muro delle ostilità e dei pregiudizi imperanti. E qua e là filtra una speranza: il futuro non può fare a meno della forza delle donne.

Il giudice delle donne, Maria Rosa Cutrufelli, Frassinelli 2016.


lunedì 20 giugno 2016

Non smetto di avere freddo

Una storia di "se" e di freddo. Un freddo che abita prima il cuore, poi l'orfanotrofio, poi il carcere e prosegue tutta la vita, mai placato da maglioni anche pesanti.
Orfanatrofio e suore, una bambina bella e buona, Dorina, e una brutta e cattiva, Angela.
Dorina ha un sogno, riappropriarsi della sua vita, contemplando sia l'amore che la realizzazione professionale: aprire un ristorante tutto suo, perché la passione per la cucina è cominciata assistendo suor Ermelinda nella preparazione delle sue "ricette speciali". Intanto, per contribuire al bilancio familiare, prepara i pasti per le detenute di un carcere. In un angolo della sua mente, è rimosso il suo passato, ma affiora con prepotenza quando rivede Angela e si ristabilisce il rapporto di amicizia e potere che le aveva unite nell'infanzia. Gli altri, marito, amiche, colleghe, non possono capire l'urgenza di una richiesta d'aiuto che ricorda l'asprezza dei geloni, delle punizioni e delle lacrime infantili.
Concepito con una narrazione ritmata dai salti temporali e dal racconto in prima e terza persona, il romanzo di Emilia Bersabea Cirillo presenta quarantotto capitoli contrassegnati da un titolo, non genericamente da un numero e questi, letti in sequenza, bastano ad alimentare la curiosità, il resto lo induce la prosa, talvolta cruda ma sincera, anche delicata e struggente.
Un romanzo che tocca nervi scoperti, disturbante, inchioda il pensiero su temi quali l'adozione, la chiusura delle fabbriche, l'emigrazione, l'impegno sindacale, Tuttavia, l'analisi puntuale delle situazioni non teme la contaminazione delle chiacchiere superficiali, si può accostarlo con semplicità per farsi toccare dalla sua grazia.

Non smetto di avere freddo, Emilia Bersabea Cirillo, L'Iguana editrice 2016.

pubblicato su
Leggere Donna n°172/2016

martedì 7 giugno 2016

Autobiografia di una femminista distratta

Ho mantenuto (in tempi quasi brevi!) la mia promessa: ho letto Autobiografia di una femminista distratta di Laura Lepetit. Confesso di averla accostata con una discreta titubanza e di essermi poi liberata da ogni remora. Temevo una narrazione di memorie con digressioni teoriche, invece ho trovato un racconto quietamente emozionale. Ragion per cui non saprei dire se la mia lettura sia stata sufficientemente critica ma, valendomi della libertà che sempre esercito in questo (mio) ambiente, convengo di averne fatto una lettura, a mia volta, emozionale. Perché è il racconto di una vita, senza rigore cronologico, punteggiato piuttosto dagli incontri, dai libri, dai luoghi e dalle esperienze fondamentali che l'hanno reso qual è, regolato dagli affetti, nel senso più ampio del termine.

Ecco come sono fatti i ricordi, restano quelli che hanno segnato il nostro percorso, gli altri scompaiono anche se sono importanti, anche se ci abbiamo perso tanto tempo. Meglio così, viaggiare leggeri, andare sempre avanti fa stare meglio. (pag. 122)

Recentemente avevo letto, restandone profondamente delusa, Via Ripetta 155, di Clara Sereni, trovandolo amaro e contradditorio, se paragonato a Casalinghitudine, un'operazione di scrittura assimilabile al gesto di - togliersi un sassolino dalla scarpa - insomma spiacevole.
Niente di tutto questo nell'autobiografia di Lepetit che, senza enfasi e senza preoccuparsi di ricordare tutte e tutti, rende omaggio alle autrici che ha incontrato, pubblicato e amato. E poi alle sue collaboratrici, alle amiche, a Carla Lonzi, di cui dice:

Non posso far altro che definire la mia conoscenza di Carla Lonzi come l'incontro che ha cambiato la mia vita. (pag. 58)

Di Lepetit è nota la sua storica casa editrice La Tartaruga, che ha pubblicato libri di scrittrici dal 1975 al 1997, a volte assolutamente inediti come Le tre ghinee di Virginia Woolf, o l'autobiografia di Gertrude Stein, tradotta da Fernanda Pivano e rifiutata da Einaudi. Diventata una pietra miliare della diffusione del pensiero e della letteratura femminile e femminista, con i suoi duecentosettasei libri pubblicati, in questo suo testo appare come una donna che fa tesoro del passato e offre del tempo trascorso e che le rimane, una prospettiva insolita e realistica.

E' una stagione che ha le sue peculiarità, ancora da capire. Mi viene da pensare che sia simile all'adolescenza, un tempo di attesa di qualcosa che non si conosce. Nell'adolescenza era l'attesa della vita, nella vecchiaia l'attesa della morte, un altro cambiamento, un territorio ignoto dove inoltrarsi senza sapere nemmeno quando e come. (pag. 9)
E ancora:
Che differenza c'è tra l'essere giovani e l'essere vecchi? Una sicuramente l'ho trovata. Si tratta del tempo. Quando si è giovani il tempo pare senza fine, lunghissimo, praticamente infinito, alla mia età so bene che il tempo sarà breve, ma è pur sempre un tempo. (pag. 23)

Un soffio d'aria pura il suo messaggio alle donne, nei confronti della figura materna, continuamente sezionata e chiamata in causa.

[...] per colpa della psicanalisi e dintorni e di tutti i manuali e i consiglieri e gli studiosi, il concetto di maternità è diventato oscuro e difficile [...] la mamma, centro di ogni virtù, responsabile di ogni sciagura, priva di pecche e peccati, disponibile, irraggiungibile, sempre in casa, sempre al lavoro, eternamente afflitta da sensi di colpa, amabile, odiabile [...] è diventata così ingombrante che non c'è nessuna ricicleria pronta ad accoglierla. (pag.41)

Persino l'autocoscienza, bandiera della pratica femminista e barriera per chi ne era esclusa, diventa esperienza facilmente condivisibile.

Ci si trovava tutti i giovedì verso le sei del pomeriggio, all'inizio a casa di Carla e poi anche in altre case a turno, e ci si sedeva in cerchio a parlare. Parlare di sé, raccontare sensazioni, confrontare esperienze senza riguardo a età, classe o condizione sociale. L'essere donna formava il substrato comune, rivelava più somiglianze che differenze  [...] Dopo le riunioni [...] si andava tutte insieme a mangiare una pizza nella stessa pizzeria sotto casa. (pag.60)

Lepetit sostiene essere La Tartaruga la sua opera principale, e di aver scritto di sé non avendo idea  da dove cominciare, ma esorta tutte le donne a scrivere, senza preoccuparsi di dover necessariamente dire qualcosa, piuttosto, riferendosi alla sua esperienza, narrare dettagli come:

Un cartoccio di pesce, un pavone nel lago, un lavandino pieno di piatti sporchi. Raccontiamoci le nostre storie per non vivere di riflesso [...] pag. 121)

Nelle sue pagine non ho colto rimpianti,  solo un leggero sottolineare:

[...] i titoli del catalogo della Tartaruga sbucano come narcisi a primavera nei cataloghi di tanti editori. Che vuol dire? Che i libri di qualità vivono a lungo? Forse che sono stata brava, ma nessuno lo dice. (pag. 78)

Sei stata brava, te lo riconosciamo noi, le tue lettrici.


Autobiografia di una femminista distratta, Laura Lepetit, Nottetempo 2016.
Via Ripetta 155, Clara Sereni, Giunti 2015.
Casalinghitudine, Clara Sereni, Einaudi 1987.
Le tre ghinee (Three Guineas, traduz, di A. Bottini),  Virginia Woolf, La Tartaruga 1975.
Autobiografia per tutti (Everybody Autobiography, traduz. di Fernanda Pivano), Gertrude Stein, La Tartaruga 1976.






sabato 4 giugno 2016

Nutrirsi di Dio


Se l'uomo è ciò che che mangia, per Ludwing Feuerbach (1804-1872), oggi è più calzante dire, per Anna Momigliano, "l'uomo è ciò che non mangia". Sono infatti svariate le correnti di pensiero legate al cibo e tutte proibiscono qualcosa: vegetariani, vegetaliani, gluten-free, vegani, paleodiet, anti OGM, breathariani...
Nell'epoca dell'abbondanza, caduti o svalorizzati i tabù religiosi, il simulacro di Dio è diventato il corpo, da cui il suo culto declinato tra estetica, dietetica e chirurgia. Alla ricerca del presunto benessere, fino all'ortoressia, vero e proprio disturbo alimentare, paragonabile all'anoressia, caratterizzata dall'ossessione del "mangiar sano" e "naturale", concetti di ambigua definizione.
Selene Zorzi invita a considerare le regole alimentari in rapporto alla vita monastica e le affinità tra cibo e desiderio. Considerando la fame quale prima forma di desiderio, la vita claustrale, diventa "il modo di educare il desiderio per rendere possibile l'incontro con Dio". Nessuna prescrizione dal Vangelo, anzi esortazione a cibarsi di quel che si trova. Pertanto la regola benedettina volge lo sguardo non al cosa  mangiare, ma al quanto e quando. Quindi digiuno, astinenza e peccato di gola inserito tra i vizi capitali. Tre le mense conventuali: quella religiosa (chiesa), quella spirituale (biblioteca), quella fisica (mensa), a significare l'unità di anima, mente e corpo unificate dal chiostro, simbolo della vita monastica. E poiché ci nutriamo di idee, non meno che di cibo, alla mensa benedettina non mancava mai il lettore. Zorzi sottolinea anche l'intreccio di sostanza e spirito del cibo, si vedano i principali gesti di Gesù, compiuti a tavola, e la valenza cosmica che assume l'Eucaristia, diventando il mezzo attraverso cui si manifesta il suo amore.

Per autori come Marino Niola (Homo dieteticus.Viaggio nelle tribù alimentari, Il Mulino, Bologna 2015) e Alan Levinovitz (The gluten Lie, Regan Arts, NY 2015) la dieta del mangiar sano è un sostituto della religione e, con le sue pratiche di allontanamento da sé di quanto può contaminare il corpo, si può assimilare alle pratiche religiose più arcaiche.
Momigliano suggerisce anche l'espressione "il dilemma dell'onnivoro", in cui sembrano dibattersi i contemporanei: molto cibo a disposizione, ampia offerta, non più osservate regole superiori etiche e religiose, esplode il dilemma della scelta, che genera ansia e conseguente bisogno di controllo.
Allora siamo tutti ortoressici? 
Il Centro Studi Fondazione Campostrini ha proposto all'attenzione il tema trasversale del consumo di cibo, con le sue implicazioni antropologiche, filosofiche e religiose. Occasione di approfondimento e riflessione, coordinato da Damiano Bondi..
Centro Studi Fondazione Campostrinihttp://www.centrostudicampostrini.it/page.php?sez=3&l1=249&con=732&anno=2016&l3=74

L'uomo è ciò che mangia, Ludwig Feuerbach, a cura di Francesco Tomasoni, Morcelliana 2015.
Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari, Marino Niola, Il Mulino 2015.
The Gluten Lie, Alan Levinovitz, Regan Arts 2015.

venerdì 3 giugno 2016

Donne perdute




Non molto tempo fa, le "donne perdute" erano contrapposte alle "donne oneste" e, secondo l'opinione pubblica, assolvevano persino a una funzione sociale ed educativa rispetto i giovani. Che poi queste "donne perdute" fossero, di fatto, rinchiuse nelle cosiddette "case di piacere", o "case chiuse", o "case di tolleranza", schedate e spostate di città, di fatto schiavizzate,  serviva a tutti per relegare, in un angolo della mente, un aspetto della vita con implicazioni morali imbarazzanti. Erano, tali luoghi,  anche "la più sicura garanzia" per "la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia", secondo Indro Montanelli, ancora nel 1959.
Lina Merlin (1887 - 1979) fu la coraggiosa sostenitrice dell'abolizione delle "case chiuse", e redattrice della legge del 20 febbraio 1958 n. 75, ricordata con il suo nome,
Daria Martelli, partendo dalle lettere di queste donne alla senatrice Merlin (Lettere dalle case chiuse, a cura di Lina Merlin e Carla Barberis, Edizioni Avanti!, 1955),  ne ha fatto una pièce teatrale, Donne perdute, molto rappresentata, in questi anni, nei teatri veneti e scelta dalla Provincia di Rovigo, in occasione del 2 giugno, per commemorare i settant'anni della Repubblica Italiana e la prima volta in cui le donne hanno avuto accesso al voto.
Nonostante la legge, la prostituzione non ha mai smesso di essere un problema d'attualità, strumentalizzato dalla politica in nome di presunta sicurezza e decoro, dimenticando la condizione delle donne, in maggioranza immigrate, che vi sono coinvolte. Come sottolinea Daria Martelli, si riproduce l'antica e doppia morale del patriarcato: disprezzare la prostituta, ma gloriarsi di comprarne i servigi perché il mercato del sesso non comporta relazione e solletica l'identità maschile, ne sancisce il suo potere sulla donna.
Un potere che può portare, in casi estremi, purtroppo frequenti, al femminicidio, ed è cronaca, perché la donna non è più rinchiusa in una casa, può votare, può essere eletta,  ma non è certa di vivere se rifiuta un rapporto maschile che la opprime.
Il volume Donne perdute, di Daria Martelli, si candida perciò alla lettura per non dimenticare, per approfondire, per non smarrire un diritto faticosamente acquisito.

Donne perdute. Adattamento teatrale di Lettere dalle case chiuse, Daria Martelli, Cleup, 2002.