Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

lunedì 1 dicembre 2014

Malapolvere

Monumento e monito, per non dimenticare le singole sofferenze e per chi, lontano dai luoghi del disastro e non toccato dal problema, ne ha una percezione "blanda e distorta".
Anche l'autrice, Silvana Mossano, è stata sfiorata dal "sospetto", l'orribile interrogativo che tutti si pongono, a Casale Monferrato, quando compare la "tosse che non va via" o il "leggero versamento pleurico", ma anche il "persistente mal di schiena" e le "febbricciattole ostinate".
Sono campanelli d'allarme che destabilizzano perché troppo simili alle battute di un copione rappresentato migliaia di volte. Segue la diagnosi: mesotelioma e la prognosi, dai quattro ai sei mesi di vita.
Nel capitolo "Donne nella polvere", Mossano trascrive il racconto di quanti hanno lavorato all'Eternit, o vissuto con chi era dipendente, o anche del tutto estraneo/a alla fabbrica, tutte persone accomunate dalla contaminazione della puvri, la polvere uncinante gli ignari alveoli polmonari, dove si installa, silente per anni,  fino alla deflagrazione.
Una storia lunga un secolo, quella dell'Eternit, iniziata nel 1906 dall'ingegner Adolfo Mazza che acquista la licenza di produzione, in Italia, dei manufatti in cemento e amianto e avvia l'attività a Casale Monferrato, già allora importante sede di cementifici. Nel 1952 la famiglia Mazza cede parte delle quote azionarie al gruppo belga CPE, parte al gruppo francese SAFE e parte allo svizzero SEG. I belgi diventano gli azionisti di maggioranza ma nel 1972, quando gli eredi Mazza vendono la quota societaria residuale agli svizzeri Schmidheiny, questi assumono il controllo del gruppo.
Qualcosa cominciò a cambiare nell'azienda, venne infatti istituito un organo di controllo, il TAS (Tutela Ambiente Sicurezza) ma la puvri rimase tale, dentro e fuori lo stabilimento. Anzi, affermano i sopravvissuti, scarseggiavano persino le mascherine e agli operai non rimaneva che bùtà al fasulet (mettere il fazzoletto), come negli anni Cinquanta e ancora prima; inoltre, chi si lamentava, veniva confinato nei reparti peggiori perché le rivendicazioni sindacali erano da soffocare e silenziare.
La consapevolezza del pericolo per la salute della gente era ormai diffusa ma prevalevano, da parte di decisori e proprietari, l'omertà e il calcolo economico.
Lo stabilimento venne chiuso nel 1986, in seguito a istanza di fallimento e nel 1992  fu approvata la Legge 257 di messa al bando del prodotto su tutto il territorio nazionale. Oltre ai problemi di salute, la cittadinanza era di fronte all'emergenza occupazionale: alla malattia si sommava l' indigenza.
Dopo un lungo iter giudiziario, le responsabilità della tragedia sembravano attestate dalla sentenza del Tribunale d'Appello di Torino, nel 2013, ma sono state ribaltate da quella recente della Corte di Cassazione di Roma.
Le vittime non hanno più voce e l'appello che chiude il libro di Mossano suona simbolicamente sempre più triste:
Signori dell'amianto, ascoltate...Noi che l'amianto ci ha marchiato la vita vogliamo credere che non vi tirerete indietro...
Malapolvere, Silvana Mossano, Sonda, 2013.