Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

giovedì 13 marzo 2014

Daria Martelli, intervista


(Come anticipato nel post 8 marzo, segue intervista a Daria Martelli)

Polifonie, Lei scrive, vuole essere "un commento storico-sociale all'opera e alla vita di Moderata Fonte”. Perché si è occupata di una donna di quattro secoli fa?
Un metodo di indagine storica è quello di prendere le mosse da una fonte, integrandola con le altre fonti reperibili. Il merito delle donne di Moderata Fonte, oltre a essere un bellissimo dialogo cinquecentesco, in una prosa ancora godibile, è un’importante fonte storica primaria, per la grande quantità di informazioni che fornisce sulla condizione delle donne nel Cinquecento. Sotto questo aspetto, è un  testo prezioso, nella scarsità di fonti rimaste sulle donne, e inoltre ha il pregio di esprimere il punto di vista delle donne sulla propria condizione.
Peraltro lo stesso personaggio di Moderata Fonte, per la vicenda della sua vita e della sua opera, ha una forte suggestione e una valenza emblematica. In un’epoca nella quale non si voleva “veder donna virtuosa in altro che nel governo della casa”, volle realizzarsi nella cultura e nella creazione letteraria. Tuttavia dovette adeguarsi al ruolo tradizionale di moglie e di madre, e a questo dovette soccombere, infatti morì all’ennesimo parto, a soli 37 anni di età, un tipo di morte che ha segnato la condizione femminile fino a tempi recenti. Straordinari sono la sua lucidità e il suo coraggio intellettuale di “protofemminista”. La sua opera, esclusa dalla tradizione e condannata alla dimenticanza,  è riemersa negli anni settanta del Novecento, quando, a distanza di quattro secoli,  le donne hanno raccolto il suo messaggio. Un’Associazione culturale, della quale sono socia fondatrice, ha voluto intitolarsi a lei, assumendola come  simbolo di tutte le letterate del passato, una cultura femminile cancellata nella storia tradizionale. 
Nella ricerca, le mie motivazioni ovviamente sono quelle di ogni studioso di storia, anche di quella tradizionale, ossia l’interesse per il passato, per le vite e le vicende che sono state prima di noi, un prolungamento del presente in un’altra dimensione temporale. In particolare le mie motivazioni sono quelle di tante studiose che, dagli anni settanta in poi, stanno disseppellendo dall’oblio secolare molte donne che furono attive al loro tempo, rivelando così un’insospettata presenza femminile nella società e nella cultura del passato.

Quale importanza ha per le donne di oggi la conoscenza della propria storia?
La storiografia di genere, un settore della nuova originale “cultura di genere” che caratterizza il nostro tempo, restituisce anche alle donne un retroterra storico, culturale e simbolico, quale hanno sempre avuto gli uomini. Alle donne sono sempre mancate le madri simboliche, mentre gli uomini hanno sempre avuto in abbondanza i padri simbolici:  esempi, modelli, simboli, che sono necessari all’identità di genere, degli uomini e delle donne. Per questo la storia di genere è importante soprattutto per le giovani e dovrebbe essere introdotta nella scuola di ogni ordine e grado.

Nel Cinquecento c’era modo di sottrarsi o trasgredire al destino di recluse monache o di recluse mogli?
Nel mio saggio ho descritto il generale costume prevalente, ma ho colto anche le differenze nei vari ceti sociali, le eccezioni, le anomalie, i casi particolari, mostrando una varietà di condizioni femminili, alla quale allude la metafora musicale del titolo, Polifonie. Anche nel Cinquecento, come in ogni epoca, nonostante i limiti imposti loro dal patriarcato dominante, alcune donne riuscivano a trovare spazi di libertà e il modo di esprimersi e di agire, talvolta con il sostegno di alcuni uomini anticonformisti, critici verso il costume del tempo. Infatti troviamo donne fondatrici di importanti istituti di assistenza, donne impegnate in attività economiche extradomestiche, “dimesse”, che, con una scelta religiosa, si sottraevano sia alla monacazione sia al matrimonio, cortigiane, ossia prostitute di alto bordo, che, se non rappresentavano certo un’emancipazione femminile, tuttavia gestivano liberamente la propria vita, inoltre letterate, attrici, maestre, editrici, guaritrici e altre. E ci furono trasgressioni femminili, certo più numerose di quelle conosciute, come la fuga della giovane Bianca Cappello con il giovane prescelto, rimasta nella memoria storica per la sorte eccezionale di Bianca, diventata in seguito Granduchessa di Toscana.

La religione sembrava offrire una sponda alla tradizione e le leggi non ponevano barriere ai soprusi. Oggi la situazione sembra cambiata, ma penso ai femminicidi.  Che cosa ne pensa?
La condizione femminile si è evoluta, sia pure molto lentamente, secolo dopo secolo. Peraltro solo dalla fine della seconda guerra mondiale è in atto il progressivo smantellamento del patriarcato, con le leggi di parità, che si sono susseguite per attuare l’articolo 3 della Costituzione, dove viene riconosciuta la parità dei cittadini “senza distinzione di sesso”. Tuttavia un millenario sistema sociale, economico, culturale, simbolico, quale è stato il patriarcato, non può scomparire dall’oggi al domani perché è entrata in vigore una legge. Rimangono molti suoi residui e sopravvivono molti suoi aspetti culturali. Infatti hanno radici antiche molti fenomeni dei nostri giorni, la diffusa violenza di genere, l’uso di immagini degradanti del femminile nella televisione e nella pubblicità, le difficoltà che le donne incontrano nel lavoro e nelle carriere, la scarsità di presenze femminili nella politica e nei posti direttivi, l’enorme diffusione della prostituzione femminile di vari gradi e prezzi, dalle “zoccole” alle “escort”, nonché gli ostacoli all’educazione sessuale, con le drammatiche conseguenze degli aborti e delle malattie veneree.  

Ritiene che sia ancora opportuno ricordare la ricorrenza dell’Otto Marzo?
L’Otto Marzo – che è bene chiamare Giornata Internazionale della Donna, piuttosto che Festa della Donna, dal momento che c’è poco da festeggiare – rammenta a tutte e a tutti l’impegno per la parità di genere, la parità non solo formale, ma sostanziale, che è ancora lontana: questo impegno peraltro deve durare tutto l’anno. Inoltre questa Giornata richiama le donne al senso della propria identità di genere, che hanno acquisito da pochi decenni, dopo essere state per millenni  “la donna”  immaginata, voluta e definita dagli uomini, nient’altro che una proiezione dell’immaginario maschile. Le richiama alla dignità e all’orgoglio di essere donne nella differenza dagli uomini e nella differenza di ciascuna dalle altre, fuori da ogni ruolo imposto. Ricordiamo che questa dignità e questo orgoglio ancora oggi sono negati a tante donne che nell’ambiente domestico – nella “famiglia” tanto ipocritamente esaltata –  subiscono i soprusi e le violenze maschili, in silenzio, per anni, finché sono uccise, come ci rivela la cronaca quotidiana. Ognuna di noi, senza limitare lo sguardo alla propria situazione particolare, deve tener presente questa realtà sociale, che perpetua un’oppressione, una soggezione e un’alienazione femminili millenarie. Come Kenendy nel discorso del 1963 a Berlino pronunciò la celebre frase: “Ich bin ein Berliner”, io sono un berlinese, ognuna di noi deve dire, con la medesima identificazione simbolica: io “sono” una delle donne che subiscono la violenza di genere.


Daria Martelli è stata insegnante, giornalista e autrice di testi culturali per la RAI; ha scritto opere di storia, narrativa e teatro.
Su questo blog sono stati segnalati due suoi libri:  
Le parole di ieri sulla donna. Una ricerca di genere sulle nostre radici culturali, Cleup, 2012, (post Scarpe rosse).
Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), Cleup, 2011, (post 8 marzo).
(l'immagine è tratta dal volume Polifonie, pag.548 e copertina; come si può leggere dalle minuscole didascalie, rappresenta gli abiti delle donne venete,nel Cinquecento, da sinistra: la prostituta, la dogaressa, la nobile, la vergine che, a quel tempo,  doveva velarsi)



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