Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

lunedì 17 marzo 2014

Furore

Furore è il titolo italiano assegnato a The Grapes of Wrath di John Steinbeck. Esce negli States nel 1939 ed è immediatamente un successo, anche se accompagnato da polemiche e scalpore che tuttavia non gli impediscono di vincere il Premio Pulitzer.
Romanzo centrato sul destino degli agricoltori rimasti senza terra e costretti ad emigrare dall' Oklahoma verso la California, lasciando abitudini radicate di vita, in un viaggio pieno di incognite e cocenti delusioni. Comincia con un vento che asciuga la terra, rendendola polverosa, prosegue con voci e personaggi maschili, si conclude con il misterioso sorriso donato da una donna. Chiamati spregiativamente Okie, i migranti sono alla mercé di quanti lucrano sulla loro fame, vietando loro i diritti elementari e arrivando alla violenza gratuita per spegnere l'accenno di rivolta e piegarne la volontà.
Opera antologica, rispetto i temi cari all'autore: la lotta tra ricchi e poveri, la miseria rappresentata in modo crudo, furioso appunto, ma insieme lirico, l'accanimento degli uomini contro i loro simili, con  meno potere, e l'aiuto inaspettato nelle situazioni estreme, una calda generosità che accende una tenue luce di speranza nei cuori stremati.
Nonostante l'autarchia fascista, Furore viene pubblicato in Italia da Bompiani già nel 1940, ancorché segnato dalla censura del Ministero della Cultura Popolare. In occasione della nuova edizione 2013, sempre di Bompiani, con l'attenta traduzione di Sergio Claudio Perroni, si è letto peste e corna della prima versione di Carlo Coardi, perché troppo letteraria e lontana dal testo originale.
Preferendo sfilarmi dalla disputa, riconosco alla prima edizione il merito di avermi fatto scoprire e amare, nei miei vent'anni, un autore da Nobel e, alla nuova, una prosa che utilizza un linguaggio più vicino ai canoni attuali di accettazione, oltre all'inserimento delle parti mancanti.
Si può anche leggere direttamente in inglese, of course.
Libro da regalare ai papà (19 marzo, Festa del papà, per chi desidera ricordarlo), ma anche a mariti, compagni, fratelli, cugini, cognati, suoceri, zii, nipoti, colleghi, amici ... uomini. Non perché non possa piacere alle donne, anzi, proprio perché la figura di John Toad, il protagonista, è l'eroe buono, nel senso antico del termine, integro, leale, onesto, coraggioso. Quanto di più lontano dagli uomini violenti, di cui parlano le cronache, incapaci di accettare la volontà femminile, se contrasta con la loro. 
E Steinbeck è l'autore che scrive di una donna:
"I suoi occhi nocciola sembravano aver vissuto ogni tragedia possibile, salendo come gradini il dolore e la sofferenza fino a raggiungere una comprensione sovrumana e un sommo equilibrio. Sembrava conoscere, accettare, gradire il suo ruolo di cittadella della famiglia, di roccaforte inespugnabile. [...]        E poiché, quando succedeva qualcosa di lieto, loro la guardavano per vedere se in lei ci fosse gioia, si era abituata a trarre motivo di riso da faccende che non ne avevano. Ma meglio della gioia era l'equilibrio. Il senso della misura dà affidamento. E il grande e umile ruolo di Ma' in seno alla famiglia le aveva conferito dignità e una nitida, equilibrata bellezza. Il suo ruolo di arbitro l'aveva resa remota e infallibile come una dea. Sembrava sapere che se avesse vacillato, l'intera famiglia avrebbe tremato, e che se un giorno si fosse trovata a cedere o a disperare davvero, l'intera famiglia sarebbe crollata, avrebbe smarrito ogni volontà di funzionare".

Furore, John Steinbeck (The Grapes of Wrath, traduz. di Sergio Claudio Perroni), Bompiani, 2013.
(la citazione è tratta dalle pagg. 104-105)

giovedì 13 marzo 2014

Daria Martelli, intervista


(Come anticipato nel post 8 marzo, segue intervista a Daria Martelli)

Polifonie, Lei scrive, vuole essere "un commento storico-sociale all'opera e alla vita di Moderata Fonte”. Perché si è occupata di una donna di quattro secoli fa?
Un metodo di indagine storica è quello di prendere le mosse da una fonte, integrandola con le altre fonti reperibili. Il merito delle donne di Moderata Fonte, oltre a essere un bellissimo dialogo cinquecentesco, in una prosa ancora godibile, è un’importante fonte storica primaria, per la grande quantità di informazioni che fornisce sulla condizione delle donne nel Cinquecento. Sotto questo aspetto, è un  testo prezioso, nella scarsità di fonti rimaste sulle donne, e inoltre ha il pregio di esprimere il punto di vista delle donne sulla propria condizione.
Peraltro lo stesso personaggio di Moderata Fonte, per la vicenda della sua vita e della sua opera, ha una forte suggestione e una valenza emblematica. In un’epoca nella quale non si voleva “veder donna virtuosa in altro che nel governo della casa”, volle realizzarsi nella cultura e nella creazione letteraria. Tuttavia dovette adeguarsi al ruolo tradizionale di moglie e di madre, e a questo dovette soccombere, infatti morì all’ennesimo parto, a soli 37 anni di età, un tipo di morte che ha segnato la condizione femminile fino a tempi recenti. Straordinari sono la sua lucidità e il suo coraggio intellettuale di “protofemminista”. La sua opera, esclusa dalla tradizione e condannata alla dimenticanza,  è riemersa negli anni settanta del Novecento, quando, a distanza di quattro secoli,  le donne hanno raccolto il suo messaggio. Un’Associazione culturale, della quale sono socia fondatrice, ha voluto intitolarsi a lei, assumendola come  simbolo di tutte le letterate del passato, una cultura femminile cancellata nella storia tradizionale. 
Nella ricerca, le mie motivazioni ovviamente sono quelle di ogni studioso di storia, anche di quella tradizionale, ossia l’interesse per il passato, per le vite e le vicende che sono state prima di noi, un prolungamento del presente in un’altra dimensione temporale. In particolare le mie motivazioni sono quelle di tante studiose che, dagli anni settanta in poi, stanno disseppellendo dall’oblio secolare molte donne che furono attive al loro tempo, rivelando così un’insospettata presenza femminile nella società e nella cultura del passato.

Quale importanza ha per le donne di oggi la conoscenza della propria storia?
La storiografia di genere, un settore della nuova originale “cultura di genere” che caratterizza il nostro tempo, restituisce anche alle donne un retroterra storico, culturale e simbolico, quale hanno sempre avuto gli uomini. Alle donne sono sempre mancate le madri simboliche, mentre gli uomini hanno sempre avuto in abbondanza i padri simbolici:  esempi, modelli, simboli, che sono necessari all’identità di genere, degli uomini e delle donne. Per questo la storia di genere è importante soprattutto per le giovani e dovrebbe essere introdotta nella scuola di ogni ordine e grado.

Nel Cinquecento c’era modo di sottrarsi o trasgredire al destino di recluse monache o di recluse mogli?
Nel mio saggio ho descritto il generale costume prevalente, ma ho colto anche le differenze nei vari ceti sociali, le eccezioni, le anomalie, i casi particolari, mostrando una varietà di condizioni femminili, alla quale allude la metafora musicale del titolo, Polifonie. Anche nel Cinquecento, come in ogni epoca, nonostante i limiti imposti loro dal patriarcato dominante, alcune donne riuscivano a trovare spazi di libertà e il modo di esprimersi e di agire, talvolta con il sostegno di alcuni uomini anticonformisti, critici verso il costume del tempo. Infatti troviamo donne fondatrici di importanti istituti di assistenza, donne impegnate in attività economiche extradomestiche, “dimesse”, che, con una scelta religiosa, si sottraevano sia alla monacazione sia al matrimonio, cortigiane, ossia prostitute di alto bordo, che, se non rappresentavano certo un’emancipazione femminile, tuttavia gestivano liberamente la propria vita, inoltre letterate, attrici, maestre, editrici, guaritrici e altre. E ci furono trasgressioni femminili, certo più numerose di quelle conosciute, come la fuga della giovane Bianca Cappello con il giovane prescelto, rimasta nella memoria storica per la sorte eccezionale di Bianca, diventata in seguito Granduchessa di Toscana.

La religione sembrava offrire una sponda alla tradizione e le leggi non ponevano barriere ai soprusi. Oggi la situazione sembra cambiata, ma penso ai femminicidi.  Che cosa ne pensa?
La condizione femminile si è evoluta, sia pure molto lentamente, secolo dopo secolo. Peraltro solo dalla fine della seconda guerra mondiale è in atto il progressivo smantellamento del patriarcato, con le leggi di parità, che si sono susseguite per attuare l’articolo 3 della Costituzione, dove viene riconosciuta la parità dei cittadini “senza distinzione di sesso”. Tuttavia un millenario sistema sociale, economico, culturale, simbolico, quale è stato il patriarcato, non può scomparire dall’oggi al domani perché è entrata in vigore una legge. Rimangono molti suoi residui e sopravvivono molti suoi aspetti culturali. Infatti hanno radici antiche molti fenomeni dei nostri giorni, la diffusa violenza di genere, l’uso di immagini degradanti del femminile nella televisione e nella pubblicità, le difficoltà che le donne incontrano nel lavoro e nelle carriere, la scarsità di presenze femminili nella politica e nei posti direttivi, l’enorme diffusione della prostituzione femminile di vari gradi e prezzi, dalle “zoccole” alle “escort”, nonché gli ostacoli all’educazione sessuale, con le drammatiche conseguenze degli aborti e delle malattie veneree.  

Ritiene che sia ancora opportuno ricordare la ricorrenza dell’Otto Marzo?
L’Otto Marzo – che è bene chiamare Giornata Internazionale della Donna, piuttosto che Festa della Donna, dal momento che c’è poco da festeggiare – rammenta a tutte e a tutti l’impegno per la parità di genere, la parità non solo formale, ma sostanziale, che è ancora lontana: questo impegno peraltro deve durare tutto l’anno. Inoltre questa Giornata richiama le donne al senso della propria identità di genere, che hanno acquisito da pochi decenni, dopo essere state per millenni  “la donna”  immaginata, voluta e definita dagli uomini, nient’altro che una proiezione dell’immaginario maschile. Le richiama alla dignità e all’orgoglio di essere donne nella differenza dagli uomini e nella differenza di ciascuna dalle altre, fuori da ogni ruolo imposto. Ricordiamo che questa dignità e questo orgoglio ancora oggi sono negati a tante donne che nell’ambiente domestico – nella “famiglia” tanto ipocritamente esaltata –  subiscono i soprusi e le violenze maschili, in silenzio, per anni, finché sono uccise, come ci rivela la cronaca quotidiana. Ognuna di noi, senza limitare lo sguardo alla propria situazione particolare, deve tener presente questa realtà sociale, che perpetua un’oppressione, una soggezione e un’alienazione femminili millenarie. Come Kenendy nel discorso del 1963 a Berlino pronunciò la celebre frase: “Ich bin ein Berliner”, io sono un berlinese, ognuna di noi deve dire, con la medesima identificazione simbolica: io “sono” una delle donne che subiscono la violenza di genere.


Daria Martelli è stata insegnante, giornalista e autrice di testi culturali per la RAI; ha scritto opere di storia, narrativa e teatro.
Su questo blog sono stati segnalati due suoi libri:  
Le parole di ieri sulla donna. Una ricerca di genere sulle nostre radici culturali, Cleup, 2012, (post Scarpe rosse).
Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), Cleup, 2011, (post 8 marzo).
(l'immagine è tratta dal volume Polifonie, pag.548 e copertina; come si può leggere dalle minuscole didascalie, rappresenta gli abiti delle donne venete,nel Cinquecento, da sinistra: la prostituta, la dogaressa, la nobile, la vergine che, a quel tempo,  doveva velarsi)



giovedì 6 marzo 2014

Donne toste




Milena Jesenska nasce a Praga nel 1896 e cresce in una bella casa nei pressi di piazza Venceslao, nel tempo in cui la città vuole darsi un'immagine europea e competere in bellezza con Vienna. 
Istruita, determinata, di bell'aspetto, Milena  arriva alla giovinezza con una provvista di entusiasmo e curiosità non comuni che l'accompagneranno sempre. Dalla madre, che la lascia presto orfana, ha ricevuto una preziosa educazione affettiva, ma con il padre continuerà a misurarsi tutta la vita in un irrisolto rapporto conflittuale.
Tra gli uomini della sua vita, Franz Kafka - lei lo chiamava Frank - di cui ha tradotto alcune opere in ceco, che egli, ebreo di lingua tedesca, conosceva solo oralmente. Troppo sovente ricordata solo, o prevalentemente, per questo legame, va detto che fu importante nella sua vita, anche se "difficile da definire". Franz era l'uomo che le aveva scritto :" Siccome amo te [...] amo il mondo intero", ma anche: "amore è il fatto che tu sei il coltello col quale frugo dentro me stesso".
Da Praga a Vienna e ritorno a Praga, Milena, giornalista e traduttrice affronta notevoli ristrettezze economiche adeguandosi anche ai lavori più umili, lottando contro le ingiustizie, le disuguaglianze sociali e la persecuzione degli ebrei. Quando infelice e sola, questa donna sa rialzare la testa volgendo il suo sguardo altrove. Il suo altrove sono le persone che soffrono e proprio la sua volontà ad occuparsene la rende invisa ai nazisti. La sua vita si conclude nel campo di concentramento di Ravensbruck nel 1944 ma, nel Giardino dei Giusti, a Gerusalemme, un albero porta il suo nome e conserva la memoria della sua generosità.
Donatella Sasso ne Milena. La terribile ragazza di Praga ci consegna un ritratto a tutto tondo, senza nascondere gli spigoli e le contraddizioni, di una persona dal carattere volitivo, sorretta da un'intelligenza ironica e dal talento per la scrittura.
Il libro inaugura la nuova collana Donne toste (manco a dirlo!) della casa editrice Effatà.


Milena. La terribile ragazza di Praga, Donatella Sasso, Effatà Editrice, 2014.

mercoledì 5 marzo 2014

8 marzo

Per uscire dal brusio che sempre accompagna la data dell'8 marzo (inutile festeggiarla; no, doveroso; appuntamento irrinunciabile; scadenza obsoleta e superata dai fatti; occasione per riflettere; emblema di una contrapposizione tra i sessi che non ha più senso evocare; e così via...), preferisco proporre letture che rimandino a donne esemplari per lucidità di analisi e azione.

Un affresco poco rassicurante della vita a Venezia nel Cinquecento, quando "legge, religione e tradizione" congiuravano contro le donne, è quanto emerge in Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), rilettura critica di Daria Martelli de Il Merito delle Donne, di  Moderata Fonte.
La prosa brillante di Daria Martelli, ricorda quella della britannica Antonia Fraser e riesce a rendere narrativo un trattato di oltre 650 pagine che, pur essendo leggibile come un romanzo, si attiene strettamente alle fonti e non trascura i dettagli della ricerca più scrupolosa, accompagnandosi ad un corposo apparato di note, bibliografia e immagini.
Eppure si legge tutto d'un fiato, facendo sperare, ad ogni nuovo capitolo, in un risvolto positivo, uno spiraglio di giustizia, un precetto della Chiesa in difesa delle donne o, magari, una figura maschile più sensibile ai loro diritti.
Modesta Pozzo nasce a Venezia nel 1555 in una ricca famiglia, rimasta orfana viene posta in convento, quando aveva appena un anno; grazie alle monache, può giovarsi del beneficio di un'istruzione, contrariamente all'uso del tempo che la riservava ai soli maschi. Passa quindi alla casa di uno zio acquisito, Nicolò Dogliani, che le permette di coltivare la speculazione intellettuale e con cui instaura un sodalizio culturale, insolito per i tempi, di appoggio per la realizzazione del suo progetto di scrittura. Modesta va poi in sposa  a Filippo Zorzi, avvocato, che sembra tollerare l'attività di scrittrice e poetessa della moglie, se non in contrasto o a detrimento del governo della casa. Modesta sceglie uno pseudonimo, com'era consuetudine, ispirandosi al suo vero nome e alle virtù di saggezza e temperanza, attribuzioni solitamente maschili, diventando Moderata e mutando in Fonte il suo cognome, per alludere alla nascita di un nuovo sapere femminile, una sorta di Nuovo Umanesimo.
Il Merito, la sua opera più conosciuta, è prosa in forma di dialogo e rispetta i canoni stilistici letterari cinquecenteschi; in esso sette donne discorrono, in forma ludica, della loro vita e dei loro problemi, in un "gioco delle parti" in cui si alternano argomenti a favore e polemiche ai costumi di vita e alle costrizioni, con un'attenzione, fa notare Daria Martelli , che "sembra anticipare l'odierna indagine sociologica".
Moderata (Modesta) muore a soli trentasette anni, stremata dall'ennesimo parto, il suo Merito viene pubblicato postumo e poi dimenticato nei secoli successivi, o ricordato, fra Ottocento e Novecento, in termini riduttivi. Infine viene riscoperto negli anni Settanta del Novecento, come testo proto-femminista, grazie alla crescente consapevolezza delle donne e alla loro ricerca del pensiero femminile nel passato, nonostante l'imperante patriarcato che lo silenziava.
A Venezia, nel Cinquecento, le donne erano segregate nella casa paterna, per custodirne l'onestà, intesa sotto il profilo del costume sessuale, per il buon nome della famiglia; poi monacate per forza o sposate a uomini molto più grandi di loro, passavano dall'oppressione del padre a quella del marito. Questi non esitava a sperperarne la dote, o disporne a suo piacimento e, sovente, tradiva impunemente la consorte, costringendola anche ad accogliere in casa ed allevare i figli avuti con prostitute o altre donne.
Tale destino era riservato alle patrizie e alle cittadine, i ceti sociali superiori, mentre le popolane godevano una qualche maggiore libertà, ma a tutte erano precluse l'istruzione e la vita professionale, riservate ai soli uomini.
Al riparo delle mura domestiche, reclusione, soprusi, non di rado percosse, soggezione psicologica, gravidanze ripetute, per necessità di successione patrimoniale e l'alto tasso di mortalità infantile, tutto sotto l'occhio vigile della Chiesa, che non condannava e della doppia morale, imposta dalla tradizione, secondo cui quel che valeva per l'uomo non valeva per la donna.
In Polifonie Daria Martelli assembla un coro di non-scelte femminili: ogni voce, un'esperienza, una resistenza, un segno di quanto era possibile e impossibile all'ombra del mito di Venezia, città universalmente conosciuta come cosmopolita, della concordia e della dolcezza del vivere.

Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), Daria Martelli, Cleup, Padova, 2011.
(l'immagine di Moderata Fonte è tratta dal volume, pag. 554)




(segue intervista a Daria Martelli)